• DANNO ALL'MMAGINE E DANNO ALLA REPUTAZIONE

     

 

L’orientamento giurisprudenziale della Corte dei Conti in un primo momento escludeva la propria giurisdizione e la relativa azione di risarcimento in merito al danno morale subito da un ente pubblico(riunite 1988, n. 5801A)

Tale posizione giurisprudenziale, peraltro, si basava su un concetto di danno non patrimoniale, quello enunciata dall'art. 2059 del codice civile, che faceva rientrare in tale categoria soltanto i danni morali subiettivi, dunque le lesioni non patrimoniali, che arrecano un dolore morale alla vittima. In considerazione di questo fatto essi non distinguevano il "danno morale" dal "danno non patrimoniale", che venivano ricompresi nei tradizionali concetti di pecunia doloris o pretium doloris. Conseguentemente non poteva essere vantato dalla P.A. il diritto al ristoro di un danno inteso come sofferenza morale[3].

Tale orientamento giurisprudenziale venne a mutare in seguito a quanto disposto dalla Cassazione, con sentenza n.7642 del 1991. Essa sostanzialmente riteneva potersi configurare nei confronti della P.A. l’ipotesi di un danno non patrimoniale, quale quello dell'onore, della identità e della reputazione, derivante da un'azione delittuosa e ciò poiché persona giuridica titolare di diritti non patrimoniali.

 

DANNO ALL'IMMAGINE - art. 17, comma 30-ter, d.l. n. 78/09, convertito nella legge n. 102 del 2009, come modificato dal d.l. 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141.

“…..Le Procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta.” A sua volta, il richiamato art. 7 legge 27.03.2001 n. 97, intitolato "Responsabilità per danno erariale", dispone che: "La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271". Dal combinato disposto delle due disposizioni, si evince che l’azione per il risarcimento del danno all’immagine (e, dunque, anche di quello alla reputazione) è oggi consentito innanzi al giudice contabile nelle sole ipotesi di sentenza irrevocabile di condanna per uno dei delitti dei p.u. contro la P.A., vale a dire quelli contenuti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (così, tra le tante Corte Conti, Sez. giur. Campania, n. 534/2012, con la giurisprudenza ivi richiamata; id., Sez. giur. Lazio, n. 254/2012). La legittimità costituzionale della norma, nell’interpretazione letterale testè delineata, è stata, peraltro, riconosciuta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 355/2010, la quale, nel dichiarare inammissibili e/o infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, prospettate da varie Sezioni giurisdizionali, ha avuto modo di sottolineare, tra l’altro, che “…..la scelta di non estendere l’azione risarcitoria anche in presenza di condotte non costituenti reato, ovvero costituenti un reato diverso da quelli espressamente previsti, può essere considerata non manifestamente irragionevole…”. Con successive pronunce di inammissibilità o manifesta infondatezza, la Corte Costituzionale ha ribadito la necessità, ai fini dell’azionabilità del danno all’immagine innanzi al giudice contabile, di una pronuncia irrevocabile di condanna per uno dei delitti rientranti nel novero di quelli dei pubblici ufficiali contro la P.A. (ordinanze nn. 219, 220 e 221 del 2011).

Sulla configurabilità in astratto del danno all’immagine alla P.A. (nel quale va ricondotto quello alla reputazione), la relativa risarcibilità costituisce un principio del tutto consolidato nella giurisprudenza sia della Corte dei Conti (si veda, per tutte, C. Conti, Sez. II, n.114/94; C. Conti, Sez. Lombardia, n.31/94; C. Conti, Sez. Sardegna, n.372/97; C. Conti, Sez. I, n.10/98; C. Conti, Sez. II, n.207/98; C. Conti SS.RR. n.16/99/QM; C. Conti, Sez. Lombardia, n.1551/99; C. Conti, Sez. I, n.96/2002; C. Conti, Sez. Lazio, n.439/2003; C. Conti, SS.RR., n.10/2003/QM; C. Conti, Sez. Lombardia, n.433/04; C. Conti, Sez. I, n.49/A/2004; C. Conti, Sez. I, n. 173/A; C. Conti, Sez. II, n. 231/07; C. Conti, Sez. I, n. 202/08; C. Conti, Sez. Campania, n. 686/09; Corte Conti, Sez. I, n. 97/09; C. Conti, Sez. Campania, n. 1942/2011) sia della Corte di Cassazione (Cass., Sez. un., n.5568/97; Cass., Sez. un., n.744/99; Cass., Sez. un., n.98/98; Cass. Sez. un., n. 20886 del 6 aprile 2006). Tale danno consiste, più in particolare, nel grave nocumento arrecato al prestigio, all’immagine ed alla personalità pubblica della P.A., in conseguenza della condotta illecita serbata dai propri dipendenti. Ogni azione dannosa compiuta dal pubblico agente in violazione dell’art. 97 Cost. (in dispregio delle funzioni e responsabilità degli agenti pubblici) “si traduce, infatti, in un’alterazione dell’identità della pubblica amministrazione e, più ancora, nell’apparire di una sua immagine negativa, in quanto struttura organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente, non responsabile e non responsabilizzata” (così, testualmente, Corte Conti, Sez. riunite, 23 aprile 2003, n. 10/QM). Va, peraltro, evidenziato che il perfezionamento del danno all’immagine, nella sua configurazione tradizionale di danno evento c.d. esistenziale, rilevante ex se nell’ambito della clausola generale contenuta nell’art.2043 c.c.. (sul punto, C. Conti, SS.RR., n.10/2003/QM), non necessita di una deminutio patrimonii e rileva, dunque, immediatamente a seguito dell’intervenuto compimento di specifiche condotte illecite dei pubblici dipendenti, idonee a determinare concretamente il pregiudizio del bene tutelato. Il più recente orientamento giurisprudenziale è, però, propenso a ricondurre il danno rappresentato dalla violazione della personalità pubblica dell’Amministrazione, costituzionalmente connotata da efficienza ed imparzialità, nell’alveo dell’art. 2059 c.c., oggetto di una “interpretazione costituzionalmente orientata, tesa a ricomprendere, nell’astratta previsione della norma, ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona, comprendendo tra essi il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona stessa” (Corte dei Conti, Sez. I, 23 maggio 2008, n. 231; Corte Conti, Sez. I, 16 aprile 2007, n. 94; Corte Conti, Sez. Lombardia, 23 gennaio 2008, n. 34; Corte Conti, Sez. Lombardia, 30 luglio 2008, n. 529; in termini, sentenza SS.UU. della Corte di Cassazione n. 26972/2008). Il danno all’immagine viene allora configurato quale danno-conseguenza, sebbene con la possibilità di ricorso alla prova presuntiva.

Il danno all’immagine pubblica è ancora danno erariale risarcibile con giudizio presso la Corte dei conti in presenza di qualsiasi reato compiuto dai pubblici dipendenti, nonostante il disposto dell’art. 17 comma 30 ter del Decreto legge 1 luglio 2009 n. 78 - osservazioni in merito all’orientamento di cui si è fatta portatrice la sentenza della Sezione Giurisdizionale Toscana n. 90/2011

NOTA ALLA SENTENZA N. 90/2011 DELLA SEZIONE GIURISDIZIONALE TOSCANA DELLA CORTE DEI CONTI Abstract: Per le pubbliche amministrazioni “il bene immagine è fondamentale, perché negli Stati contemporanei democratici esso contribuisce a garantire il rispetto reciproco tra i cittadini e le istituzioni, o tra i governanti e i governati, che è condizione per il corretto funzionamento della democrazia e delle sue regole”. È quanto scrive Alberto Mingarelli, Vice Procuratore Generale presso la Procura regionale per il Veneto della Corte dei Conti, in questo commento a una recente e innovativa sentenza della Sezione giurisdizionale della Toscana, in materia di danno all’immagine pubblica. La sentenza affronta un’ipotesi di danno all’immagine dello Stato in presenza di un reato diverso da quelli contro la Pubblica amministrazione che, secondo un primo orientamento delle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti, sembravano gli unici risarcibili, giungendo a una conclusione diversa. La sentenza della Sezione giurisdizionale toscana, oltre a rifarsi a un principio di autonomia, in base al quale il giudice conserva “il potere-dovere di interpretare in piena autonomia”, ridimensiona la decisione della Corte costituzionale che nel 2010 era intervenuta in merito, e mette in rilievo che il bene immagine deve essere tutelato sempre e comunque, non solo nei casi dei reati contro la Pubblica amministrazione. Sarebbe, quindi, illogica l’esclusione della risarcibilità del danno all’immagine per tutti i reati comuni, come nel caso esaminato in questa nota. Come scrive Mingarelli, “i reati comuni possono apparire anche più odiosi e lesivi della fiducia nelle istituzioni dei cittadini degli stessi reati contro la pubblica amministrazione, che certo non meritano sconti.”

sentenza della Corte Costituzionale n. 355 del 2010, per la quale a norma - art. 17 comma 30 ter del Decreto legge 1 luglio 2009 n. 78 - deve essere univocamente interpretata, invece, nel senso che, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilità per danni all'immagine dell'ente pubblico di appartenenza, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria. In tema di limitazione della responsabilità amministrativa, v. citata sentenza n. 371/1998.

 

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 30- ter , secondo periodo del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, inserito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, sollevata in relazione agli artt. 3 e 97 Cost. per ritenuta irragionevolezza della norma denunciata che esclude l'esercizio dell'azione di responsabilità in ipotesi non delittuose altrettanto gravi ovvero in presenza di reati diversi da quelli espressamente indicati. Rientra, infatti, nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta, conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa, valutando le esigenze cui si ritiene di dover fare fronte. Senza volere indagare in questa sede quale sia la effettiva natura della responsabilità derivante dalla lesione del diritto all'immagine di un ente pubblico, è indubbio che la responsabilità amministrativa, in generale, presenti una peculiare connotazione, rispetto alle altre forme di responsabilità previste dall'ordinamento, che deriva dalla accentuazione dei profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori. Nel caso in esame, il legislatore ha ulteriormente delimitato, sul piano oggettivo, gli ambiti di rilevanza del giudizio di responsabilità, ammettendo la risarcibilità del danno per lesione dell'immagine dell'amministrazione soltanto in presenza di un fatto che integri gli estremi di una particolare categoria di delitti. La scelta di non estendere l'azione risarcitoria anche in presenza di condotte non costituenti reato, ovvero costituenti un reato diverso da quelli espressamente previsti, può essere considerata non manifestamente irragionevole. Il legislatore ha ritenuto, infatti, nell'esercizio della predetta discrezionalità, che soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l'altro, proprio il buon andamento, l'imparzialità e lo stesso prestigio dell'amministrazione, possa essere proposta l'azione di risarcimento del danno per lesione dell'immagine dell'ente pubblico. In altri termini, la circostanza che il legislatore abbia inteso individuare esclusivamente quei reati che contemplano la pubblica amministrazione quale soggetto passivo concorre a rendere non manifestamente irragionevole la scelta legislativa in esame. In definitiva, pertanto, la particolare struttura e funzione della responsabilità amministrativa, unitamente alla valutazione della specifica natura del bene giuridico protetto dalle norme penali richiamate dalla disposizione impugnata, rende non palesemente arbitraria la scelta con cui è stato delimitato il campo di applicazione dell'azione risarcitoria esercitatile dalla procura operante presso le sezioni della Corte dei conti. In tema di responsabilità amministrativa v. citate sentenze n. 453 e n. 371/1998.

Le peculiarità sia del diritto all’immagine della pubblica amministrazione (che è qualificato come “rappresentazione che essa ha di sé in conformità al modello delineato dall’art. 97 Cost.”), sia dell’istituto della responsabilità amministrativa (nel quale si ha un’accentuazione dei profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori), possono giustificare una tutela differenziata rispetto alla responsabilità civile, che contemperi le varie esigenze di tutela dell’amministrazione e di efficienza della stessa; quindi il legislatore ha una lata discrezionalità nell’individuare i limiti entro i quali il diritto all’immagine dell’ente pubblico è tutelato, limiti che possono essere fissati anche in modo differente rispetto al diritto all’immagine di soggetti privati (oggetto delle decisioni della Corte di cassazione).
b) In particolare, non è irragionevole la scelta di limitare il diritto al risarcimento del danno all’immagine della p.a. ai soli danni derivanti da delitti contro la p.a. e non a danni derivanti da reati diversi o da fatti non costituenti reato ma ugualmente dannosi per l’immagine, in quanto le specifiche fattispecie delittuose tipizzate sono volte a tutelare, tra l'altro, proprio il buon andamento, l'imparzialità e lo stesso prestigio dell'amministrazione, che è individuata dalla legge quale soggetto passivo del reato. In altri termini, da un lato, è lecito per il legislatore tipizzare le ipotesi di risarcimento del danno all’immagine della p.a.; dall’altro, è ragionevole la scelta di riconoscere il risarcimento di tale danno solo se derivante da delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a., perché in tali reati il soggetto passivo del reato è la pubblica amministrazione, e quindi la sua immagine e il suo funzionamento ne sono necessariamente compromessi, mentre negli altri reati tale compromissione è indiretta ed eventuale.
c) La disposizione in esame non ha inteso prevedere una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione (e segnatamente di quella ordinaria), bensì circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell’amministrazione imputabile a un dipendente di questa. In altri termini, essa non si limita a precludere l’azione di responsabilità amministrativa, ma a limitare le ipotesi di tutela del danno all’immagine della p.a., sia dinanzi alla Corte dei conti che in altra sede.

 

Prove (ex art 2697 c.c.)

Per i riscontri probatori si rinvi al art. 2697 c.c., in ordine ai danni non patrimoniali riconducibili, in via diretta ed immediata, alla specifica vicenda illecita contestata .

 

Riconducibilità del danno alla reputazione nel danno all'Immagine

E’ stata, infatti, negata la possibilità che da condotte illecite di pubblici dipendenti possa derivare – oltre al danno all’immagine – anche un danno alla reputazione dell’ente pubblico.

In particolare, è stato affermato che il danno alla reputazione di un ente pubblico integra la lesione di un diritto della personalità, che si traduce nell'offesa al prestigio, al decoro ed all'onore di un'amministrazione pubblica; pertanto, esso rientra nell'ampia nozione del danno all'immagine ed è soggetto alla medesima disciplina legale.

 

Il danno alla reputazione non può che essere ricompreso nell’ampia nozione di danno all’immagine, quale “danno pubblico” originato dalla lesione del buon andamento della P.A., la quale perde, con la condotta illecita dei propri dipendenti, credibilità ed affidabilità all’interno ed esterno della propria organizzazione, ingenerandosi la convinzione che i predetti comportamenti patologici siano un connotato usuale dell’azione dell’Amministrazione (tra le tante, Corte Conti, Sez. giur. Lombardia, nn.95/201, 284/08 e 540/08).
In altri termini, il cd danno alla reputazione configura, con quello all’immagine, una unitaria voce di pregiudizio, quale lesione del diritto inviolabile della personalità dell’Ente pubblico (artt.2 e 10 Cost.), traducendosi nell’offesa al prestigio, al decoro ed all’onore di cui l’Ente medesimo gode al proprio interno e nei confronti dei consociati.

DANNO ALL'IMMAGINE E DANNO DA DISSERVIZIO

ll danno morale, o danno all'immagine, va tenuto distinto dal danno da disservizio, inteso questo come danno per mancata o distorta resa del servizio, fermo restando che entrambi debbono essere allegati, quantificati e dimostrati da parte del Procuratore regionale della Corte dei conti e non possono ritenersi impliciti o presunti in conseguenza della vicenda penale" (cfr., in particolare, oltre alla cit. Corte di Cassazione, S.U. 21 marzo 1997, n. 5668, v. Corte dei Conti, Sez. I, 7 marzo 1994, n. 55)

 

 

DOTTRINA

l danno all’immagine pubblica
di Alberto Mingarelli

Vice Procuratore Generale presso la Procura regionale per il Veneto della Corte dei Conti
Pubblicato nell'edizione n. 1 del 2011

 

NOTA ALLA SENTENZA N. 90/2011 DELLA SEZIONE GIURISDIZIONALE TOSCANA DELLA CORTE DEI CONTI. La Sezione Giurisdizionale Toscana si è confrontata anche con la recente pronuncia della Corte Costituzionale (la n. 355 del 2010) che ha rigettato varie richieste di dichiarazione di incostituzionalità riguardanti il predetto art. 17, osservando preliminarmente che la stessa pronuncia non ha affatto chiuso definitivamente la questione.
La Sezione Giurisdizionale Toscana ridimensiona la portata della sentenza della Corte Costituzionale che resta solo un’autorevole ma isolata interpretazione data con una sentenza non estendibile erga omnes.
Osserva la Sezione Toscana che la sentenza della Corte Costituzionale n. 355 del 2010 è una sentenza di rigetto per cui (come anche le sentenze interpretative di rigetto) non ha – a differenza di quelle dichiarative di illegittimità costituzionale – efficacia erga omnes e, pertanto, determina un vincolo (nemmeno assoluto) solo per il giudice del procedimento nel quale la relativa questione è stata sollevata.
Invece, negli altri procedimenti, il giudice conserva il potere-dovere di interpretare in piena autonomia la norma denunciata »»» »»»

 

Un contributo, forse, al chiarimento del danno all’immagine della P.A.,ovvero una riflessione a margine della sentenza n°355/2010 della Corte Costituzionale,di Fulvio Longavita , magistrato della Corte dei conti

Ho avuto l’impressione che la Corte costituzionale, nel rispondere alle domande di cui sopra, abbia preso a riferimento la P.A. come tale, ed ha perciò parlato di un danno all’immagine dello “Stato-Apparato”.

In realtà, il danno all’immagine pubblica, nella elaborazione della Corte dei conti, ha una correlazione più profonda, più forte ed intensa, che si raccorda direttamente al “Popolo”, ovvero allo “Stato-Comunità”, quale organo costituzionale ed elemento costitutivo dello Stato (oltre che degli enti pubblici nel quale lo Stato stesso, nel suo complesso, si disarticola), ex art. 1 Cost. e norme che ad esso fanno riferimento »»» »»»

 

 

 

 

 

GIURISPRUDENZA

 

Come enunciato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 350 del 2010, nonché in successive ordinanze, l'art. 17, comma 30 ter, del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, va inteso nel senso che le Procure della Corte dei conti possono esercitare l'azione per il risarcimento del danno all'immagine solo per i delitti di cui al Capo I del Titolo II del Libro Secondo del codice penale. Tale principio costituisce, infatti, una scelta non arbitraria del legislatore finalizzata a circoscrivere i reati da cui può derivare il "vulnus" all'immagine della P.A., in relazione alla percezione esterna che si ha del modello di azione pubblica ispirato ai principi e ai canoni che trovano la loro tutela ultima nell'art. 97 della Costituzione, con la conseguenza che, fuori da tale ambito, ogni estensione dei casi previsti dalla normativa in rassegna appare arbitraria.

 

 

 

NORMATIVA

  • 30-ter. Le procure della Corte dei conti possono iniziare l'attivita'
    istruttoria ai fini dell'esercizio dell'azione di danno erariale a
    fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le
    fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della
    Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno
    all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 della
    legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del
    termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge
    14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del
    procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto
    in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma,
    salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva
    alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
    presente decreto, e' nullo e la relativa nullita' puo' essere fatta
    valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse
    , innanzi alla
    competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide
    nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della
    richiesta.
  • 1. Quando esercita l'azione penale nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, il pubblico ministero informa l'autorità da cui l'impiegato dipende, dando notizia dell'imputazione. Quando si tratta di personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica, ne dà comunicazione anche al comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato.
    2. Quando l'azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, l'informazione è inviata all'Ordinario della diocesi a cui appartiene l'imputato.
    3. Quando esercita l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia della imputazione.
    3-bis. Il pubblico ministero invia la informazione contenente la indicazione delle norme di legge che si assumono violate anche quando taluno dei soggetti indicati nei commi 1 e 2 è stato arrestato o fermato ovvero si trova in stato di custodia cautelare.
    3-ter. Quando esercita l'azione penale per i reati previsti nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero per i reati previsti dal codice penale o da leggi speciali comportanti un pericolo o un pregiudizio per l'ambiente, il pubblico ministero informa il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Regione nel cui territorio i fatti si sono verificati. Qualora i reati di cui al primo periodo arrechino un concreto pericolo alla tutela della salute o alla sicurezza agroalimentare, il pubblico ministero informa anche il Ministero della salute o il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Il pubblico ministero, nell'informazione, indica le norme di legge che si assumono violate. Le sentenze e i provvedimenti definitori di ciascun grado di giudizio sono trasmessi per estratto, a cura della cancelleria del giudice che ha emesso i provvedimenti medesimi, alle amministrazioni indicate nei primi due periodi del presente comma. I procedimenti di competenza delle amministrazioni di cui ai periodi precedenti, che abbiano ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, possono essere avviati o proseguiti anche in pendenza del procedimento penale, in conformità alle norme vigenti. Per le infrazioni di maggiore gravità, sanzionate con la revoca di autorizzazioni o con la chiusura di impianti, l'ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell'accertamento dei fatti addebitati, può sospendere il procedimento amministrativo fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare strumenti cautelari.

 

  • art. 1, comma 62 della legge n. 190/2012 (c.d. “anticorruzione”) ha fissato i criteri per la sua quantificazione, prevedendo che esso sia pari, con beneficio della prova contraria, al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita
  • La legge anticorruzione ha altresì aggiunto il comma 1- septies all’art. 1 della legge
    n. 20/1994,
  • con il quale si prevede che nei giudizi di responsabilità
    amministrativa per il danno all’immagine - nell’ipotesi di "fondato timore" di
    attenuazione della garanzia patrimoniale del credito erariale - su richiesta del
    procuratore regionale, sia concesso dal Presidente della sezione della Corte dei
    conti competente sul merito del giudizio, il sequestro conservativo di beni mobili
    e immobili
    del convenuto, comprese somme e cose allo stesso dovute.

 

 


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